L‘ autostima cos’è? Come calibrarla?
L‘ autostima cos’è? Come calibrarla?
Sulla definizione di autostima, su come ha influsso sulla nostra felicità, su perché possa essere bassa o alta, o su che ruolo i traumi possono avere su di essa, sussiste parecchia letteratura. Non sempre però unisona. Nel 1969, lo psicologo Nathaniel Branden argomentò che la maggior parte dei problemi mentali e emozionali, di cui la gente soffre, possano essere radicati in una bassa autostima (Branden, 1969). Ma cos’è l’autostima?
Esistono 3 termini molto vicini l’uno all’altro, ma con un significato leggermente diverso per gli psicologi (Druckman & Bjork, 1994; Oney, & Oksuzoglu-Guven, 2015). L’autoefficacia, la fiducia in sé, l’autostima (self-efficacy, self-confidence, self-esteem). Vedere anche https://positivepsychology.com/self-confidence/, dove nell’articolo viene spiegato in maniera più dettagliata la differenza dei 3 concetti.
Autoefficacia: la fede di un individuo sulla sua capacità di poter influenzare gli eventi nella propria vita (Bandura, 1977). Questo termine a differenza del termine “stima” fa più riferimento alla capacità di agire in situazioni future, e non ha un connotato di “valore” di una persona.
Fiducia in sé: la fiducia di un individuo nelle sue capacità, nei suoi giudizi, nelle sue abilità, o la fede che possa affrontare con successo le sfide e le pretese giornaliere (Psychology Dictionary online). La fiducia in sé apporta anche più felicità. Si è più motivati, e si tende a perseguire e raggiungere le proprie mete con più energia, gioendo poi dei propri successi. La sottile differenza tra fiducia in sé e autoefficacia sta nel fatto che la “fiducia in sé” è basata sulle esperienze passate, e dunque ha non solo una connotazione futura, ma anche passata, poiché ha origine dal passato dell’individuo.
Autostima: soprattutto due autori hanno avuto influsso sulla sua definizione Rosenberg (1965), e il già citato Branden (1969). Rosenberg era dell’avviso che l’autostima fosse il credo più o meno stabile del proprio autovalore. Egli sviluppò anche una scala dell’autostima vedi referenza.
Branden invece credeva che l’autostima era composta da 2 componenti distinte. Dall’autoefficacia, e dall’autorispetto (in altre parole dal credo che ci meritiamo felicità, amore e successo). La definizione di Rosenberg è più soggetta a criticismi, visto che la definizione è generalista e può avere connotazioni diverse, a dipendenza della cultura dell’individuo.
Oggigiorno si pensa che a caratterizzare l’autostima siano 3 componenti (https://positivepsychology.com/self-confidence/):
- È un bisogno essenziale umano, che è vitale per sopravvivere e per uno sviluppo sano dell’individuo.
- Nasce in automatico dal credo e dalla coscienza di un individuo.
- Occorre in correlazione ai pensieri, ai comportamenti, alle emozioni e alle azioni di un dato individuo.
Secondo per esempio la psicologa Aron (2018) la vera autostima è l’equilibrio tra “ranking” (la voglia innata di riconoscimento tramite competitività in una data gerarchia, al fine di svilupparci e per cercare di richiedere giustizia) e il “linking” (la sensazione innata di sentirci attratti e affezionati ad altri, di mostrare interesse, e di aiutarli, se possiamo). Vari traumi d’infanzia e in età adulta possono portare a uno squilibrio di questi due fattori e portare sia al narcisismo (un’autostima portata all’eccesso) che ad autostima cronicamente ridotta, con depressioni o patologie annesse.
Diversi studi hanno dimostrato che una buona o alta autostima può essere associata ad una migliore salute, ad una vita sociale migliore, ad una protezione contro malattie mentali e problemi sociali (Mann, Hossman, Schaalma, & de Vries, 2004).
Anche la fiducia in sé stessi viene associata a un effetto positivo per la salute mentale (Atherton et al., 2016; Clark & Gakuru, 2014; Gloppen, David-Ferdon, &Bates, 2010; Kenderis, 2015; Stankov, 2013; Stankov & Lee, 2014).
Anche se molti di noi, per traumi vari, o perché cresciuti in ambienti iperprotetti soffriamo di ansie, paure di essere feriti o vergogna, e magari non usufruiamo di un’alta autostima, non significa, che non possiamo essere di successo o che non riusciamo a gestire la nostra vita quotidiana. È qui che entra in gioco un attributo umano, degno di nota: il coraggio. Il coraggio è la capacità di buttarsi in un’azione, nonostante che ci manchi la fiducia nelle nostre abilità, nonostante sussista la paura. Richiede maggior forza, ma una persona coraggiosa, in genere, è in grado di oltrepassare i propri limiti di crescita. La paura ciononostante non in tutti casi è sormontabile, ecco perché fa senso cercare di accrescere anche la propria autostima, la fiducia in sé e l’autoefficacia.
Come fare?
Ci sono 2 TED talks che vi consiglio a questo proposito.
Il primo è un TED talk dello psicologo Guy Winch
https://www.ted.com/talks/guy_winch_the_case_for_emotional_hygiene
Il secondo è del Dr. Ivan Joseph
https://www.youtube.com/watch?v=w‑HYZv6HzAs
Nei loro talks emergono alcune strategie per migliorare lo “skill” dell’autostima. Infatti essa può essere allenata. Qui in sintesi alcuni degli aspetti cruciali per allenarla/aumentarla.
- Perseveranza. Tutti noi ci sentiamo fiduciosi in situazioni che abbiamo vissuto con successo. Ma per far questo in genere ci siamo allenati con costanza, senza gettare la spugna. Un ballerino di successo lo è grazie all’allenamento. Se non abbiamo mai ballato, non ci sentiremo a nostro agio in un corso di salsa. Più ci alleniamo però e più ci sentiremo fiduciosi e a nostro agio.
- Compassione per sé stessi. Cercare di eliminare l’autocriticismo e praticare piuttosto un’affermazione del proprio valore. Per esempio fare una lista di qualità che avete in un dato contesto. Per esempio se non avete ottenuto un lavoro, scrivete tutte le qualità che vi qualificano per il posto e come impiegato di valore. Scegliete una di queste qualità e scrivete un piccolo tema di 2–3 paragrafi su perché questa qualità ha un dato valore, e sul perché molto probabilmente sarà apprezzata da altri nel futuro. Facendo l’esercizio ogni giorno per una settimana, questo potrebbe aumentare la vostra autostima.
- Evitare il rimuginare. Se rimuginate su situazioni negative, che vi hanno tolto autostima, non vi farete un favore. Appena lo notate, cercate di sviare la vostra attenzione su qualcosa d’altro. Fate esercizi di mindfulness (respirazione coerente al cuore, sentite la sedia) o fate attività per distrarvi (sport, leggere un libro etc.).
- Parlate bene di voi stessi. Evitate di parlare in negativo di voi stessi, cercate i lati buoni.
- Visualizzate la vostra fiducia in voi stessi. Immaginate voi stessi come se il futuro fosse ormai diventato presente. Se nel futuro siete riusciti a diventare più fiduciosi in voi stessi in una data situazione, cosa sarebbe diverso da ora? Come sareste? Gli altri da cosa capirebbero che siete più sicuri di voi? Immaginatelo con più dettagli possibili e ricordatevene in giornate, in cui avete bisogno di risorse di autostima.
- Siate pazienti con voi stessi. Autostima è uno skill che va allenato. Ci vuole tempo, è un processo.
- Chiedete aiuto e date aiuto ad altri. Il “linking” o la nostra voglia naturale di legare affettivamente ad altre persone, è una risorsa, che può portare all’autostima, specie per chi ha traumi relativi alla componente “ranking”. In altre parole se non vi sentite all’altezza in un dato gruppo, o se siete in perenne ricerca d’affermazione propria, provate a integrare l’aspetto di ricerca di connessione ad altri. Date, aiutate, e riceverete stima in cambio. Questo vi permetterà alla lunga di migliorare probabilmente anche la vostra autostima.
Spero che questi pensieri sull’autostima vi siano piaciuti… e curiosa come sempre dei vostri pensieri.
Vi saluto con affetto
Corina
Riferimenti
- Aron, E.N. (2018). Die Kraft der Bindung. Wie Liebe und Anerkennung unseren Selbstwert bestimmen.Mvg Verlag.
- Atherton, S., Antley, A., Evans, N., Cernis, E., Lister, R., Dunn, G., Slater, M., & Freeman, D. (2016). Self-confidence and paranoia: An experimental study using an immersive virtual reality social situation. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 44, 56–64. doi:10.1017/S1352465814000496
- Bandura, A. (1977). Self-efficacy: Toward a unifying theory of behavioral change. Psychological Review, 84, 191–215.
- Branden, N. (1969). The psychology of self-esteem. Los Angeles, CA: Nash Publishing.
- Clark, N. M., & Gakuru, O. N. (2014). The effect on health and self-confidence of participation in collaborative learning activities. Health Education & Behavior, 41, 476–484. doi:10.1177/1090198114549157
- Druckman, D., & Bjork, R. A. (Eds.). (1994). Learning, remembering, believing: Enhancing human performance. National Academy Press: Washington, D.C., US
- Gloppen, K. M., David-Ferdon, C., & Bates, J. (2010). Confidence as a predictor of sexual and reproductive health outcomes for youth. Journal of Adolescent Health, 46, S42-S58. doi:10.1016/j.jadohealth.2009.11.216.
- Mann, M., Hosman, C. M. H., Schaalma, H. P., & de Vries, N. K. (2004). Self-esteem in a broad-spectrum approach for mental health promotion. Health Education Research, 19, 357–372. doi:10.1093/her/cyg041
- Oney, E., & Oksuzoglu-Guven, G. (2015). Confidence: A critical review of the literature and an alternative perspective for general and specific self-confidence. Psychological Reports, 116, 149–163. doi:10.2466/07.PR0.116k14w0
- https://fetzer.org/sites/default/files/images/stories/pdf/selfmeasures/Self_Measures_for_Self-Esteem_ROSENBERG_SELF-ESTEEM.pdf
- Self-confidence [Def. 1 and 2]. (n.d.). Psychology Dictionary. Retrieved from http://psychologydictionary.org/self-confidence/
- Skenderis, V. M. (2015). Implementing a team approach to improve positive behavioral changes for 9th graders: An action research study. Capella University, ProQuest Information & Learning. UMI number 3705434
- Stankov, L. (2013). Noncognitive predictors of intelligence and academic achievement: An important role of confidence. Personality and Individual Differences, 55, 727–732. doi:10.1016/j.paid.2013.07.006
- Stankov, L. & Lee, J. (2014). Quest for the best non-cognitive predictor of academic achievement. Educational Psychology, 34, 1–8. doi:10.1080/01443410.2013.858908