La “percezione altrui” per aiutare a potenziare la resilienza nel nostro prossimo
12.02.2020, Brunnen SZ
Nella terza parte della mia serie sulla resilienza e sul potenziarla nel chi ci sta di fronte, vorrei non limitare il discorso alla dirigenza, bensì a tutti noi, come persone. Perché?
Vi è mai capitato una situazione di stress acuto o di cambiamento, in cui qualcuno ha over-reagito totalmente? O che qualcuno si sia “nascosto” o sia stato letteralmente congelato in una data situazione? O la sensazione netta che qualcuno stia “mascherando” le sue emozioni e i suoi pensieri?
A tutti noi è già capitato di osservare dalla postura del corpo, nella mimica facciale, oppure dai gesti, o dall’intonazione della voce, che alcune persone sembrano reagire in maniera strana in dati momenti. E anche noi inconsapevolmente magari lo facciamo.
Spesso non ci prendiamo il tempo di riflettere sull’altro, e a azione segue immediata reazione. È umano e capita a tutti… ma specie chi detiene una certa responsabilità verso la persona che gli sta di fronte (in veste di genitore, insegnante, amico, partner, collega, dirigente etc.), col tempo ripensa a quello che è successo e si pone domande simili a queste:
- Perché l’altra persona ha reagito così?
- Perché mi ha toccato la sua reazione?
- Come posso far passare questa situazione di stress acuto o di cambiamento, senza causare danni né a me né all’ altro, ma aiutando entrambi a uscirne più forti di prima?
Ecco che qui entra in gioco la perenne sincronizzazione tra percezione dell’altro e la percezione di sé stessi. Su quella di stessi ho scritto nella seconda parte di questa serie. Vediamo ora la percezione altrui e come comprovarla alla percezione di sé stessi.
Carl Ransom Rogers, noto psicologo clinico, ha sviluppato l’ipotesi che l’uomo nel suo nucleo è buono e che in lui c’è un flusso costante, teso alla realizzazione costruttiva delle sue possibilità intrinseche, una tendenza naturale alla crescita. Questo presupposto, che non ci siano fattori esterni che limitino la persona in questa ricerca di crescita. È da questo principio che nella maggior parte dei casi si può iniziare a “percepire” e capire chi ci sta di fronte. Nel senso, cerchiamo di partire dal presupposto, fino a prova contraria, che chi ci sta di fronte ha un “nocciolo buono”.
Tutti noi abbiamo la capacità, sebbene a livelli diversi, di riuscire a leggere consapevolmente o non le emozioni degli altri. Capiamo chi è triste, chi è arrabbiato, chi prova gioia.
Alle volte però quello che percepiamo è una maschera per distogliere da ciò che veramente “tocca emozionalmente” in quel momento la persona che ci sta di fronte. Spesso la percepiamo come incongruente. Nella figura qui sottostante voglio prima introdurre varie domande che ci si può porre (specie da dirigente) in situazioni difficili con un impiegato. Come noterete ci sono domande inerenti alla percezione fisica, alla percezione culturale, alla percezione dell’impiegato in un sistema, e alla percezione autobiografica di un dato individuo. Pensate ora a una persona con cui avete avuto conversazioni difficili in una fase di stress sul lavoro per esempio… Quante di queste domande vi siete posti? Quante risposte avete ricevuto?
E ora pensate ad una persona nel vostro contesto personale… In una situazione di stress non facile: quante domande vi siete fatti lì? E quante risposte avete ottenuto?
Fig.1: Quesiti per la percezione del prossimo e di sé in relazione al prossimo. Tratto dal lavoro di Master C.Wyler (2018)
Non è detto per tutti, ma direi che la tendenza sussiste di norma, che a livello privato si è più generosi nelle riflessioni sull’altro, che non con le persone al lavoro. Questo perché il nostro rapporto con una persona del nostro contesto privato, costituisce una risorsa e al contempo un pericolo per il nostro nocciolo emozionale. La fiducia riposta, la vulnerabilità mostrata è più alta, rischiamo di perdere di più, ma anche di guadagnare di più dal rapporto.
Tuttavia, anche colleghi, impiegati, capi… dove la distanza emotiva dovrebbe essere più grande, sono innegabilmente esseri umani, e possono avere effetti su di noi, per il nostro sviluppo della personalità. Dunque perché non permettersi, di prendere il tempo per capire reazioni altrui, e come si possa uscirne entrambi più resilienti da situazioni di stress in comune?
Spesso ci dimentichiamo di vedere la persona, le sue reazioni, e il nostro rapporto con essa da diversi angoli di prospettiva. Ma se partiamo dall’ipotesi di Rogers, che ogni persona tende alla ricerca della sua massima potenzialità, perché la persona in questione si comporta in una data maniera, e alle volte magari addirittura in modo controproducente?
L’osservazione fisica e della mimica è solo il primo passo. Ci dice cosa la persona sta vivendo fisicamente e emozionalmente… ma non il perché di esso. Non ci dice niente al riguardo della cultura, dei valori che questa persona percepisce suoi… Non dice niente sul rapporto sistemico di questa persona in un gruppo, o delle sue esperienze di vita, che l’hanno condizionata. Ed è qui che inizia il lavoro di ricerca empatica, accoppiata a sensibilità sociale. Forse vi è capitato di vedere la serie TV “Lie to me”. Una serie che basa la sua trama su di uno scienziato che legge micro-mimiche per smascherare bugiardi. Come riesce a trovare la verità?
Non è solo lo spirito di osservazione che lo aiuta, ma bensì anche la capacità tramite domande, a percepire la personalità della persona. L’unico intoppo? Bisogna percepire bene anche sé stessi, e verificare la percezione dell’altro con i propri pattern, esperienze etc.
Il verificare la propria percezione è un passo importantissimo. Ci possono essere effetti di risonanza o dissonanza massicci verso la personalità del prossimo. Su questo punto mi dilungherò più nell’ ultima parte di questa serie. Per capire se la nostra percezione dell’altro potrebbe corrispondere parzialmente al vero, bisogna anche osservare sé stessi. Cosa suscita una data reazione dell’altro in me? Perché non sopporto un dato comportamento? I miei valori, esperienze, pattern, sono in contrapposizione? Troppo simili all’altro? Riesco a tollerare visioni diverse dalle mie? E… ricordarsi del presupposto primario… l’uomo cerca in genere di vivere le sue potenzialità.
Facciamo degli esempi concreti. Una persona reagisce a critiche costruttive chiudendosi in sé stessa. Percepite pochi movimenti corporei, una postura curva su sé stessa, una mimica di ghiaccio o desolata. Cosa vi verrebbe da pensare? Magari con tatto e “non violent communication” provereste a farla partecipe delle vostre osservazioni, magari parlandone le chiedereste empaticamente se c’è qualche cosa che non va. La persona però si chiude in sé e non si apre con voi. Vi sentireste allora forse impazienti e lascereste perdere il discorso, forse un po’ snervati dal fatto che questa persona non possa accettare critiche costruttive…
Ora pensate in maniera diversa… o meglio, integrate il postulato di Rogers…
Se è vero che la persona vuole vivere le sue potenzialità… Perché si chiuderebbe?
Il suo comportamento deve avere una spiegazione logica. Forse… la previene da “pericoli”, ed è una maniera inconscia di auto-proteggersi per qualche ragione. Il pericolo cosa potrebbe essere? Dolore, insicurezza, non sentirsi all’altezza, paura di perdere tutto e tanto altro…
Da cosa potrebbe derivare? Situazioni culturali? La persona da che culture proviene (etnica, famigliare, lavorativa etc.)? Che esperienze biografiche ha fatto (mobbing, famiglia difficile, situazioni di isolamento, perdite etc.)? Che situazione sta vivendo con voi e persone correlate (si sente leale con voi, vi ammira, ci sono asimmetrie di potere come età, conoscenza ed altro?)
Probabilmente il vostro intuito e qualche ragionamento vi farebbe presumere qualcosa. Forse in un momento adatto chiedereste alla persona empaticamente alcune risposte come comprovazione della vostra ipotesi… Ma non basta. Anche se col tempo aveste la fiducia di questa persona e alcune risposte vi fossero regalate, rimane da chiedersi: cosa appartiene a lei come reazione e cosa a voi… Che effetto ha su di voi? Perché? Se riuscite a disossare tutto questo allora la percezione dell’altro sarà abbastanza affidabile.
Presupposto che la nostra percezione sia parzialmente affidabile, come fare per potenziare la resilienza nell’altro?
Offrirgli supporto, ma non decidere per lui, non costringerlo a iniziare un viaggio, se non è pronto per mettersi in gioco! Troppa pressione potrebbe portare a una rottura del legame di fiducia più o meno istaurato in precedenza.
Tutti i nostri meccanismi di difesa, le nostre reazioni più strane, hanno un buon motivo per esistere. Ci hanno aiutato in passato a sopravvivere situazioni di crisi. Se la persona stessa non sente il bisogno di cambiare da sé, potete farla partecipe delle vostre osservazioni, potete proporle di dare supporto, ma alla fine è la persona che deve decidere cosa fare.
Magari in quell’istante non è ancora pronta, oppure ha bisogno di un legame più stabile, forse anche di un’altra persona che la accompagni nel cammino. Non per questo però il “nocciolo buono” non esiste, o non vale la pena investire in questo rapporto.
Per voi però, non significa necessariamente dover restare ad aspettare l’altro in tutti i casi. Se i vostri confini personali fossero largamente lesi dalla persona, o se mete in comune ne risentissero in maniera acuta, avete anche voi il dovere di badare a voi stessi (cercando di preservare al contempo possibilmente i confini dell’altro). Compromessi, modus operandi o consensi di come andare avanti insieme sarebbero allora i prossimi passi pratici da attuare.
Riassumendo:
- La percezione altrui ha molte sfaccettature (fisica, culturale, sistemica, biografia etc.).
- La percezione altrui deve essere sempre sincronizzata con la percezione di sé per comprovarla e limitare gli errori di percezione.
- Per vedere oltre ad un dato comportamento, magari non spiegabile, o a prima vista controproducente, vedere di postulare, fino a prova contraria, l’ipotesi di Rogers del “nocciolo buono”.
- Non imporre il proprio desiderio di aiutare a cambiare, bensì osservare, proporre, e lasciare la libera scelta e tempistica alla persona.
- Se la persona non sente il bisogno di ampliare i propri pattern etc. ci sarà un buon motivo per questo. Non prendersela sul personale, ma accettare la sua scelta, e ascoltare in maniera empatica.
- Se per ragioni di preservazione dei propri confini personali, o di una meta non negoziabile, non si potesse accettare il comportamento dell’altro, avvertire l’altra persona per tempo e cercare di trovare insieme un modus operandi comune o un consenso comune.
- Se la persona si sente limitata dai propri stessi comportamenti e volesse ampliare la varietà di reazione, e se decidesse di scegliere voi come partner di fiducia e riflessione, allora e solo allora, avreste la possibilità assieme a lei di potenziare la sua, e forse anche la vostra gamma di meccanismi di resilienza.
Sul come potenziare la gamma di meccanismi di resilienza, su come essere sicuri di sincronizzare bene le percezioni, e sul come crescere insieme, alcuni pensieri nel prossimo articolo blog
Cordialmente la vostra Corina
Referenze:
Wyler, Corina (2018). Mitarbeiter-Resilienz-Coachings von 3 Führungskräften in Schweizer Unternehmen: Analyse einer Ist-Situation und weiterführende Interventionsvorschläge eines externen Coaches. MAS Systemisches Coaching und Organisationsberatung. Institut für Kommunikation und Führung, Luzern. Arbeit ist nicht einsehbar aus Vertraulichkeitsgründen.