Resilienza, cultura e l‘umiltà e il coraggio di ognuno di noi
Di recente sono stata ad un forum molto interessante per persone interessate a lavorare in organizzazioni umanitarie.
Sapete cosa mi ha colpito di più?
Che adattarsi con successo ai cambiamenti, non significa sempre resilienza…
Suona strano vero? Eppure ha senso.
Ho assistito a due dibattiti quel giorno. Uno che aveva come tematica l’abuso di potere da parte di membri di organizzazioni umanitarie e come prevenirlo o sradicarlo, e l’altro sul management dell’incertezza in questi lavori.
La quintessenza del primo dibattito è stata che nessuno è in grado di “prevenire” l’abuso di potere. I membri della discussione ritenevano importante trasmettere il “code of conduct” a tutti i dipendenti sotto forma di regole scritte “corporate”, e al‘ unisono giudicavano importante la selezione accurata dei dipendenti… ma nonostante norme scritte e scelte d’ingaggio ben ponderate… la gente assunta, col tempo in taluni casi era cambiata e potrà cambiare… perdendo la bussola etica durante situazioni estreme o in un paese completamente diverso dal loro.
Ma perché queste persone non riescono a stare congruenti con i valori etici originali e abusano di potere?
Una probabile ipotesi nella discussione era il fatto, che regole e norme, un pezzo della cultura a cui queste persone erano abituate, in zone pericolose o difficili, non esistono più nella loro forma originale. Le persone per “sopravvivere”, o dimentiche del loro scopo primario per cui erano partite dal loro paese d’ origine, o per situazioni personali, decidono sì di evolvere, ma prendono decisioni sbagliate. Come evitarlo? La discussione è proseguita con l’ipotesi che un “vivere” costante dei valori in un team, in un’organizzazione, il parlare quotidianamente e in maniera aperta sul loco dei dilemmi, degli abusi, delle differenze culturali, potrebbe aiutare i membri dell’organizzazione a restare resilienti… a sopravvivere a situazioni difficili, senza perdere sé stessi, i propri valori e la cultura dell’organizzazione. Insomma la formazione di una “transcultura vissuta giornalmente”, o di come è stata definita tra gli speaker “behavioral evolution” tra persone di cultura diversa, che lavorano per la stessa meta, per gli stessi valori della loro organizzazione. Resilienza è sicuramente legata alla cultura del singolo e dei team… ma c’ è un ma… Al fine di poter parlare apertamente, c’ è bisogno di protezione… e questa purtroppo in certi contesti non può essere garantita completamente. È qui che entra in gioco la qualità della resilienza, i suoi meccanismi, e i valori più profondi del singolo.
Nel secondo dibattito su come arrangiarsi con l’insicurezza delle situazioni, proprio questi valori e questi meccanismi del singolo sono stati parzialmente citati.
Umiltà, flessibilità, agilità, non presumere niente come garantito, questi sono i primi ingredienti per sopravvivere in questi lavori… coraggio, tenacia nel vedere e trovare soluzioni, badare alla propria psicoigiene, credere che ognuno (anche le persone da aiutare) sono potenzialmente in grado di essere autori del loro destino, e non perdere d’ occhio i motivi per cui si fa questo lavoro, sono le altre componenti che aiutato a restare congruenti e sani nel lungo periodo. Ma questo a mio personale avviso vale per ognuno di noi, uguale in che contesto lavorativo o privato viviamo… solo che è tutt’altro che ovvio ricordarsene e viverlo giornalmente.
C‘è un aneddoto di Pierre Krähenbühl, Commissioner-General UNRWA, che ha toccato penso l’intero pubblico in sala. Costretto a tagliare il budget annuale stava pensando come farlo. Si trovava in una zona di guerra nel Medioriente e notò che in una clinica, nonostante i saccheggi nell’area, tutta l’infrastruttura, i mezzi chirurgici erano preservati. Chiese come fosse possibile? Erano stati due impiegati che sotto giornaliero pericolo per preservare gli strumenti chirurgici da saccheggi, li portavano a casa la sera e li riportavano alla mattina. A questo punto lui si chiese: come posso dir loro che non avremo abbastanza risorse? Non posso, non posso non onorare il loro coraggio, e il coraggio di tanta altra gente. Trovò soluzioni, chiese fondi a tutti gli sponsor per colmare quel budget in meno. Tenacia nel trovare soluzioni, coraggio, umiltà, flessibilità, leadership… eccoli lì gli ingredienti.
Le parole finali della discussione tra gli speaker erano pressappoco le seguenti: “Never judge. How would we become in a conflict situation? Nobody can be sure, how he/she would react, therefore stay “neutral” (non- judgmental)”. È umiltà e psicoigiene al contempo, e ci insegna che sta a noi decidere come evolverci, che non è facile farlo e dunque non giusto giudicare altri, ma che bisogna tentare di: “essere il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo” (Gandhi).
Resilienza per me non è solo adattarsi ai cambiamenti, ma farlo restando congruenti con sé stessi, cercando di mantenere la propria umiltà, i propri valori, e il coraggio.
Sarei curiosa di leggere qual’ è l’aspetto del concetto resilienza a voi personalmente più caro… in una sola parola… quella che ha più risonanza con voi… se vi va, scrivetemelo, grazie.